I Cappellani

STORIA DEL CAPPELLANO MILITARE

Sin dalle sue origini, e analogamente a quanto avveniva nei reparti in armi delle Truppe Alpine, anche la Sezione ha sempre avuto una sua organizzazione rivolta a garantire l’assistenza spirituale, composta spesso da Cappellani militari in congedo.
Tra i fondatori della Sezione Ossolana, nel 1923, vi fu anche il primo Cappellano don Luigi Quaranta, che aveva prestato servizio nel 3° Rgt. Alpini nel 15/18 e che era tra l’altro decorato con Medaglia di Bronzo al V.M.
A don Quaranta successe nell’incarico l’indimenticato don Carlo Righini, parroco di Beura per tanti anni, insegnante, Cappellano militare durante l’ultimo conflitto mondiale di diversi Battaglioni Alpini, invalido di guerra e insignito di croce al merito.

Cappellano onorario della Sezione è invece don Remigio Biancossi, che già svolse la sua missione come Cappellano militare degli Alpini, sacerdote bognanchese assai conosciuto anche come poeta.

Dopo la morte di don Righini, al fine di non lasciare le Penne nere ossolane senza una guida spirituale, è stato chiamato a ricoprire questo importante ruolo don Flavio Marconcini, sacerdote rosminiano, insegnante e parroco di Calice, tra l’altro componente della Commissione assistenziale sezionale; nel 1995 è stato trasferito ad altro incarico in Sicilia.
Un altro Cappellano ha operato poi nell’assistenza spirituale agli Alpini in congedo ossolani, si tratta di don Enzo Tipaldi, già docente negli istituti superiori domesi, e rettore del Santuario di Mozio. Don Enzo Tipaldi ci ha lasciati all’inizio del 2007. Domenica 27 aprile 2008 benedizione monumento in ricordo di Don Enzo Tipaldi a Mozzio.

A sostituire don Flavio Marconcini è stato chiamato don Giuseppe Briacca.

Fino al 2016 l’assistenza spirituale è stata garantita dal rosminiano don Franco Costaraoss.

Attualmente è il Parroco di Domodossola Don Vincenzo Barone ad occuparsi dell’assistenza spirituale.

di Giuseppe Martelli

CENNI STORICI SULLA FIGURA DEL CAPPELLANO MILITARE

L’assistenza religiosa ai soldati chiamati a combattere è una esigenza da sempre recepita nella storia di tutti i popoli. In Italia le prime notizie documentate risalgono agli Etruschi, dall’800 al 500 avanti Cristo, presso i quali esisteva una magistratura sacerdotale guerriera continuata poi negli ordinamenti civili e militari di Roma. L’Imperatore Costantino durante il suo regno dal 324 al 337 dopo Cristo, abbracciando il cristianesimo volle presso ciascuna Legione i sacerdoti ed una tenda per il culto religioso. Nel medioevo la fusione divenne totale e sorsero diversi Ordini di monaci cavalieri. Nell’evo moderno si ha un costante graduale distacco fra sfera religiosa e quella politica e nessuna delle due ammette l’ingerenza dell’altra. L’assistenza spirituale ai soldati viene assunta spesso in forma volontaria prevalentemente dai frati degli Ordini Domenicani, Francescani, Gesuiti e Cappuccini.

Fra il 1500 e 1700 su richiesta dei comandanti delle varie armate, la figura dell’assistente spirituale era designata dal Pontefice che nominava al seguito il Cappellanus Militiae (cappellano militare) per il solo periodo delle Campagne anche estere, ed in questo caso erano in gran parte designati fra i missionari già presenti sul territorio. Va precisato che in questo periodo la funzione del cappellano militare era quasi totalmente ricoperta dai frati ed in particolare dai Minori Cappuccini con una presenza limitata all’interno degli ospedali da campo. Il primo concetto moderno si ha nell’esercito piemontese che reinserisce nei Reparti questo servizio. Nel 1859 si contano circa 40 cappellani “permanenti” suddivisi fra i Reggimenti e le Scuole Militari, questi ultimi più propriamente chiamati direttori di spirito. Anche negli altri Stati dell’Italia si era diffusa l’assistenza religiosa ai soldati e man mano che le nuove province venivano annesse al Piemonte, anche la figura del cappellano era incorporata nel crescente nuovo esercito. Alla proclamazione del Regno d’Italia nel 1861 i quadri del clero nell’esercito era di 189 cappellani. Negli anni successivi questo numero, ritenuto eccessivo ed oneroso per lo Stato, venne gradatamente ridotto e nel 1878 si ha la definitiva scomparsa dei cappellani “permanenti” dalle forze armate italiane. Questo non significa che il servizio fosse abolito, i Comandanti dei reparti potevano di volta in volta richiederlo per le funzioni festive e l’insegnamento religioso nelle Accademie. A pieno titolo rimasero solo i cappellani degli ospedali dipendenti dal Corpo Sanitario del quale adottano fregi e distintivi. Con la nascita della Croce Rossa Italiana, che si avvale di personale regolarmente arruolato, si costituisce il Corpo Militare Ausiliario. Nel 1887 viene stipulata una convenzione fra il presidente della Croce Rossa ed il Ministro Generale dell’Ordine dei frati minori cappuccini che si impegna a fornire 60 cappellani nominati fra gli ascritti alla Milizia Territoriale del Regio Esercito. Questi cappellani, esenti dall’indossare la divisa, portano il tradizionale saio francescano e quale segno distintivo il bracciale della Croce Rossa sul braccio sinistro.

Nella Campagna d’Eritrea del 1896 ed in Libia del 1911-’13, i soldati italiani hanno con loro proporzionalmente pochissimi sacerdoti reclutati per gli ospedali nel Corpo della Sanità e fra i cappuccini mobilitati dalla Croce Rossa. Papa Pio X ritenendo questa situazione inadeguata allo spirito cristiano, chiese alle autorità di governo che acconsentissero a tutti i sacerdoti presenti nell’esercito di svolgere, oltre a quello obbligatorio di soldato, anche il proprio ministero in frangenti tanto gravi come la guerra. Va precisato che fino dal 1878 preti e chierici (gli studenti nei seminari) venivano sottoposti come tutti i cittadini all’obbligo del servizio militare, ma era loro proibito svolgere qualsiasi attività religiosa presso i Reparti di appartenenza. Si era giunti all’assurdo che pur avendo presenti un buon numero di sacerdoti, i soldati fruivano di una scarsa e a volte inesistente assistenza spirituale.

Con la mobilitazione generale del 1915 e l’entrata in guerra dell’Italia sono chiamati alle armi circa diecimila ecclesiastici. Il governo ed in particolare il Ministero della Guerra al cui vertice vi è il generale Cadorna cattolico convinto, affronta subito la questione nella convinzione che il prete tra i soldati fosse elemento di equilibrio e di conforto non solo per i feriti e gli ammalati negli ospedali, ma per tutti i combattenti compresa la prima linea. L’iniziativa dello Stato, che vede quasi impreparata la Chiesa, trova una rapidissima intesa. Monsignor Angelo Bartolomasi Vescovo ausiliario di Torino viene investito dell’autorità di Vescovo di Campo con regio decreto del 27 giugno 1915 ratificato dalla Santa Sede. A questo ufficio con sede a Treviso viene affidato la direzione del servizio, l’organizzazione, il reperimento e rifornimento del materiale religioso, le regole di disciplina del clero militare, gli affari civili ed ecclesiastici per i territori occupati, le nomine dei cappellani militari nei reparti combattenti e le conferme dei cappellani già mobilitati dalle direzioni di Sanità dei Corpi d’Armata territoriali. Le direzioni di Sanità, che comprendevano anche il Corpo ausiliario militare della Croce Rossa, erano i preti-soldato con fregi e distintivi della Sanità e potevano raggiungere, per meriti particolari, il grado di sergente. La nomina a cappellano militare che era a tutti gli effetti una promozione spesso di difficile scelta fra i numerosi sacerdoti che si offrivano volontari, prevedeva la presenza nei reparti combattenti dei quali ne indossavano la divisa, fregi ed emblemi con la sola differenza di una croce di panno sul lato sinistro della giubba. Anche il grado militare aveva un suo ordinamento, il Vescovo di Campo era parificato a maggiore generale, i Vicari del vescovo a maggiore, i coadiutori dei Vicari a capitano ed i cappellani a tenente. Questi gradi erano effettivi, compreso lo stipendio ed i doveri di un ufficiale. Molti sono risultati i casi di tenenti cappellani che per esigenze del momento o volontariamente hanno assunto il comando di reparti guidandoli all’assalto. Ben 93 sono stati i cappellani caduti ed oltre 100 i prigionieri che seguirono i propri reparti nei campi di prigionia. Nel corso del conflitto risultano in servizio come cappellani militari 2048 sacerdoti su diecimila preti-soldato mobilitati. Alto è anche il numero delle decorazioni conferite al valore militare: 3 medaglie d’oro, 137 medaglie d’argento, 295 medaglie di bronzo, 95 croci di guerra.

Con l’armistizio del novembre 1918 e la conseguente smobilitazione dell’esercito viene trattenuto un certo numero di cappellani per il servizio ordinario nei reparti e la pietosa raccolta dei caduti sui campi di battaglia e la loro tumulazione nei 2300 cimiteri di guerra. Completate queste esigenze di servizio i cappellani in soprannumero furono inviati in congedo come qualsiasi militare e smessa la divisa ritornarono nelle parrocchie per riprendere il normale ufficio di sacerdote. Per spirito di Corpo ed i legami con i compagni d’arme, molti aderiscono come soci e pari riconoscimento di ex combattenti nelle varie associazioni d’arma che nascono nell’immediato dopoguerra, partecipando alle attività associative ed in alcuni casi assumendone all’interno cariche direttive. In questo primo dopoguerra comincia a delinearsi l’idea di istituire un Corpo di cappellani militari anche in tempo di pace, sancita con una legge del 1926 che indica ufficialmente la nascita ed il riconoscimento dell’Ordinariato Militare per l’Italia.

Con il Concordato fra Stato e Chiesa del 1929 viene ulteriormente valorizzata e disciplinata l’assistenza religiosa alle Forze Armate. Con la Campagna in Africa Orientale del 1936 sono mobilitati 343 cappellani militari e fra questi sono decorati al valore militare; 2 con medaglia d’oro, 3 con medaglia d’argento, 8 con medaglia di bronzo e 17 con croce di guerra.

Dal 10 giugno 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia, gli oltre tremila cappellani militari mobilitati diventano nei difficili frangenti sui vari fronti ed in prigionia, un indispensabile punto di riferimento e di conforto spirituale per i soldati ed i loro famigliari. Anche nelle tristi vicende vissute a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943, che divide in ideali contrapposti, sia nell’una che nell’altra parte non manca la figura del cappellano militare, in gran parte precettati dall’Ordinariato Militare ma anche accorsi per scelta volontaria. Fra il 1940 ed il 1945 sono 185 i cappellani militari caduti. Alto è anche il numero delle ricompense al valore militare, 10 medaglie d’oro, 64 medaglie d’argento, 128 medaglie di bronzo e 215 croci di guerra.

Con il ritorno alla pace e la graduale rinascita dell’Esercito vede l’Ordinariato Militare impegnato a mantenere la presenza del cappellano militare nei vari Reparti, non tanto in vista di un sempre più improbabile conflitto ma come componente tesa alla formazione del giovane e punto di riferimento in un particolare momento della sua vita.

Ancora oggi, sia nella normale vita addestrativa che nelle varie e rischiose missioni all’estero, il cappellano militare segue il proprio reparto perché è insito nell’uomo l’esigenza religiosa e consciamente o inconsciamente, comunque la sua presenza rassicura ed apporta un essenziale contributo sia per la serenità morale dei soldati sia nei rapporti con le popolazioni locali.